Malattia di Alzheimer, il percorso per la diagnosi
È vero: per la malattia di Alzheimer, la forma di demenza più diffusa a livello globale, non abbiamo ancora una cura. Ma poter avere una diagnosi corretta e tempestiva è comunque essenziale, non solo perché permette di comprendere i sintomi (distinguendo la malattia da altre condizioni potenzialmente trattabili) ma anche perché consente al paziente e ai suoi familiari di pianificare il futuro, nonché di accedere a supporti e terapie. Terapie che, seppur non risolutive, possono rallentare la progressione dei sintomi e migliorare globalmente la qualità della vita.
Come si arriva, però, a una diagnosi di malattia di Alzheimer? Il percorso può non essere semplice: cerchiamo di fare un quadro dei principali strumenti diagnostici che abbiamo a disposizione.
Alzheimer, una diagnosi non così semplice
Sebbene una diagnosi tempestiva sia fondamentale per massimizzare l’efficacia dei trattamenti per la malattia di Alzheimer, a oggi non abbiamo strumenti che ci consentano di riconoscere la patologia nelle fasi precoci. In effetti, il mondo scientifico è molto attivo nel tentativo di individuare marcatori, per esempio nel sangue, che permettano di arrivare alla diagnosi precoce dell’Alzheimer, cioè di riconoscere la malattia prima ancora che si presentino i sintomi. Tuttavia, a oggi queste opzioni rimangono nell’ambito della ricerca, come possibilità promettenti ma non ancora sufficientemente confermate da poter essere applicabili nella pratica clinica.
E, più in generale, arrivare alla diagnosi di Alzheimer può non essere semplice, come evidenzia anche il World Alzheimer Report 2021, pubblicato dall’associazione Alzheimer’s Disease International: nonostante l’attenzione crescente per la patologia, infatti, molte persone non conoscono (o riconoscono) i sintomi iniziali, prendendoli per effetti fisiologici dell’invecchiamento; può anche essere difficile capire a chi rivolgersi, e a volte si stenta a chiedere un consulto anche per un disagio, un imbarazzo personale.
Un ultimo elemento da tenere in considerazione in questo contesto è che una diagnosi certa di Alzheimer può avvenire solo con gli esami delle anomalie cerebrali post mortem. Tuttavia, lo sviluppo delle tecnologie e una conoscenza sempre più solida della patologia permette di arrivare a diagnosi che, seppur non certe, presentano un elevato livello di accuratezza.
Gli esami per la diagnosi di Alzheimer
Quali sono, dunque, gli esami su cui si basa la diagnosi di malattia di Alzheimer? Se anamnesi e raccolta dei sintomi sono, come per ogni patologia, i primi passi fondamentali, nel contesto dell’Alzheimer (e più in generale delle demenze), sono poi necessari alcuni esami specifici. Questi hanno anche l’obiettivo di consentire la diagnosi differenziale, cioè di distinguere diverse possibili cause dei sintomi discriminando così non solo tra la malattia di Alzheimer e altre forme di demenza, ma anche da altre condizioni che possono dare origine a sintomi simili, come per esempio alcune carenze nutrizionali (soprattutto il deficit della vitamina B12) o tumori cerebrali.
In particolare, secondo le Linee guida dall’Istituto superiore di sanità, è necessario innanzitutto un esame neurologico. Consiste in una visita specialistica in cui il/la neurologo/a, attraverso il colloquio clinico e test neuropsicologici standardizzati, esplora diverse aree del funzionamento cerebrale: memoria, linguaggio, attenzione, orientamento, capacità di ragionamento, prassie (la capacità di eseguire movimenti complessi per un determinato scopo) e funzioni esecutive. L’obiettivo è identificare eventuali deficit cognitivi e capire se si tratta di un normale invecchiamento, di un disturbo lieve o di una demenza vera e propria.
All’esame neurologico devono poi essere affiancati esami di imaging che consentano di avere delle immagini cerebrali ed evidenziare le anomalie rilevabili: i principali sono la TC e la risonanza magnetica che, sebbene non permettano di “vedere” direttamente l’Alzheimer, permettono di identificare i segni indiretti della malattia e, soprattutto, di escludere altre cause di demenza. Più precisamente:
- la TC, che sfrutta i raggi X per ottenere immagini cerebrali, permette di rilevare eventuali atrofie, alcune delle quali possono essere associate alla malattia di Alzheimer, ed escludere lesioni strutturali che possono essere responsabili dei sintomi;
- la risonanza magnetica, che si basa invece sull’uso dei campi magnetici, fornisce immagini cerebrali anche più dettagliate e quindi rilevare modifiche strutturali anche sottili.
Endometriosi, uno sguardo oltre la diagnosi
L’endometriosi può avere un impatto profondo nella vita delle donne con questa patologia, coinvolgendo diversi aspetti della salute fisica, mentale e sociale. Può influenzare non solo la possibilità di avere figli, con il possibile stress emotivo che comporta in chi li desidera, ma anche la vita quotidiana. Il dolore, che sia cronico o presente solo in determinate situazioni, può compromettere la capacità di lavorare e studiare; può anche influenzare la vita di coppia.
Inoltre, l’infiammazione cronica e le eventuali perdite di sangue abbondanti possono contribuire a una sensazione costante di stanchezza e affaticamento; l’anemia da carenza di ferro, comune nelle persone con mestruazioni abbondanti, può aggravare questo senso di spossatezza, riducendo energia e concentrazione.
Tutti questi elementi influenzano facilmente il benessere mentale: dolore e affaticamento facilitano l’isolamento sociale e, più in generale, affrontare una malattia cronica e spesso sottovalutata può portare ad ansia e depressione, specialmente se i sintomi vengono ignorati o minimizzati da medici o persone vicine. Insomma, l’endometriosi non è solo un problema ginecologico ma una malattia con un impatto complesso e a volte sottovalutato sulla qualità della vita delle donne: va affrontata con il giusto supporto medico e sociale. Ricorda che le strutture Kormed sono sempre a disposizione per fornire un inquadramento diagnostico e terapeutico professionale e affidabile.